SANDRO BOLCHI sito ufficiale
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INSTANCABILE, Sandro Bolchi. Puntuale al suo incontro annuale con il pubblico della Raitv, al quale è legato da reciproca fedeltà da un quarto di secolo. Le ultime stagioni lo hanno visto proporsi con “La vigna di uve nere”, “Melodramma”, “Lulù”. Ed eccolo di nuovo con il film televisivo in quattro parti Una donna a Venezia (coprodotto RaiDue-First Film-Taurus Film), da questa sera ogni mercoledì alle 20,30. Il punto di partenza è un racconto dello stesso Bolchi, pubblicato anni fa sul “Corriere della Sera”, che il regista ha sceneggiato con Dante Guardamagna e Lucio Mandarà. Protagonista l’ attrice preferita dall’ autore: Lea Massari, attorno alla quale si riunisce un bel cast composto tra gli altri da Fernando Rey, Anna Melato, Elena Sofia Ricci, Lino Troisi. Il racconto muove da (e ruota intorno a) una suggestione che ha ispirato innumerevoli artisti tra i quali, per esplicita confessione di Bolchi, non è certo ultimo Thomas Mann: Venezia città lagunare, luogo in cui le passioni sono come attutite, soffocate dall’ acqua, in cui i ritmi e i tempi sono necessariamente lenti e composti. Luogo, insomma, dei grandi conflitti tra apparenze e ciò che le apparenze celano, in cui i gesti misurati contrastano con le tempeste dell’ anima. Tanto il tema che lo stile scelto per narrare corrispondono ai sentimenti che Venezia suggerisce agli autori. Il teatro dell’ azione è l’ antico palazzo del conte Alvise Albergati (Rey), nobiluomo di antico stampo, (animo artistico e adoratore di Wagner, pronto a svendere i suoi Canaletto per resistere alla volgarità dei tempi. Egli è circondato da una famiglia che malgrado il rispetto delle forme e di uno stile di vita improntato alla più civile pacatezza, si va disgregando. Ciascuno dei quattro figli gli dà motivo di delusione e amarezza: uno fa il croupier e non riesce del tutto a dissimulare tendenze omosessuali, un’ altra dà scandalo e colleziona perdite al gioco… Su tutti domina però la figura della moglie-madre (Massari), donna dal passato difficile, il solo elemento “sano” della famiglia, colei che sa portare serenamente sulle spalle un grande peso. Giustamente alla ricerca di un linguaggio che fosse in sintonia con quello che Bolchi definisce “il fiato lungo della laguna”, il regista ha avuto la mano felice nello scegliere un tipo di narrazione “senza fretta” (le stonature sono semmai provocate dalle situazioni e dai personaggi troppo “grintosi”, che rischiano di fare un po’ “Dallas sulla laguna”). Di confezione, secondo i consueti standard di Bolchi, elegante e corretta, il film si vede come qualcosa di non indispensabile ma convenzionalmente gradevole.
di PAOLO D’ AGOSTINI