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FRANA ALLO SCALO NORD (1957)

28 aprile 2017

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Un film di Sandro Bolchi. Con Salvo RandoneSergio TofanoGiulio Bosetti Drammatico– Italia 1957.

In una città portuale s’è verificato un grave incidente in un cantiere di lavoro. Un giudice umano e illuminato deve accertare le responsabilità. Molti accusano un vecchio imprenditore (anzi il maggior accusatore è il figlio ribelle di lui). Dramma un po’ datato, ma degno di ricordo per le interpretazioni maiuscole di Randone (il magistrato) e Tofano (il decrepito intellettuale).

Frana allo scalo nord è il titolo di un dramma in tre atti di Ugo Betti (Camerino, 4 febbraio 1892 — Roma, 9 giugno 1953), che è stato un poeta, drammaturgo e giudice italiano. L’opera, come spesso in Betti, prende l’avvio da un’inchiesta giudiziaria su un incidente che è costato la vita a tre persone e giunge a porre angosciosi interrogativi sui grandi temi della colpa, della responsabilità e della pietà, attraverso un linguaggio insolitamente asciutto e intenso. Il tema tipicamente bettiano della Legge che non riesce a farsi Giustizia, e che di questa è costantemente in cerca postulando in questo suo inappagamento, l’esistenza di una trascendenza, è qui calato in un’atmosfera liricamente sospesa ottenuta per mezzo della forma (anche questa tipicamente bettiana) del dramma-processo dove i personaggi – che non debbono più agire, ma soltanto confessarsi – trapassano quasi senza sforzo dalla realtà al simbolo, fino a fondersi (sia i vivi sia i morti) in un unico coro invocante pietà. La versione televisiva venne mandata in onda dalla RAI il 20 marzo 1959 sul Programma Nazionale con la robusta regia di Sandro Bolchi. Interpretazioni maiuscole di Randone (il magistrato) e Tofano (il decrepito intellettuale).

Personaggi e interpreti: Aiello: Luciano Rebeggiani; AnnaNeda NaldiBeatrice MoscaElvira BetroneBert Anselmo: Gianni Bortolotto; Gaucker: Fosco GiachettiGiovanna Burke: Annamaria Alegiani; Giuseppetti: Riccardo Tassani; Goetz: Luciano Alberici; Holand: Mauro Barbagli; Jud: Cesare Bettarini; Kurz: Sergio Tofano; Menjura: Tony Garzena; Parsc: Salvo Randone; Ragazza del bar: Lucilla MorlacchiRosa Nasca: Wanda Benedetti; Signore miope: Giulio Bosetti;

Trama: Frana allo Scalo Nord ha la struttura di un’inchiesta giudizíaria: «l’azione si svolge in una città straniera, fra gente del luogo ed emigrati di vari paesi. Ai nostri giorni». Al Palazzo di Giustizia arriva l’Accusatore generale Goetz, per controllare e concludere il procedimento giudiziario che il consigliere Parsc ha avviato per individuare i responsabili di una frana che si è verificata in un cantiere durante la costruzione di uno scalo ferroviario e che ha provocato parecchie vittime. Da frammentarie e confuse testimonianze sembra che la maggiori responsabilità siano del costruttore Gaucker, che però si difende e le addebita alla Ferroviaria, la società da cui aveva ricevuto l’appalto dei lavori. Ma via via il processo si complica e si amplia e non riguarda più un fatto specifico e le singole persone, ma il senso della vita di ognuno di loro, le frustrazioni, i fallimenti, le miserie del quotidiano. Attraverso un accumularsi di particolari e di sfumature i personaggi arrivano a una nuova consapevolezza: di essere travolti, tutti, da “un ingranaggio”, di esserci tutti dentro, di essere tutti corresponsabili. Appaiono alla fine a dialogare coi vivi i morti, le vittime. Sia loro sia gli altri che intervengono nel dialogo sentono ora la loro vita come un destino di sofferenza, prendono coscienza di essere stati nient’altro che «poveri stracci». II dramma assume una dimensione simbolica; i morti, invitati a deporre da Goetz, replicano agli indiziati addossandosi tutte le responsabilità, quasi a voler interiorizzare simbolicamente la colpa a nome dell’intera umanità. E Parsc, dopo le ripetute insistenze dell’accusatore Goetz, emette una sentenza che invoca pietà ove la legge non riesca a tradursi in giustizia. Pertanto il giudice Parsc impossibilitato ad emettere «una condanna» conclude: «Noi dichiariamo che questi uomini pronunciarono, pronunciano essi stessi ogni giorno con la loro vita, con la loro pena, la giusta sentenza; trovarono essi stessi la loro certezza. E che forse dalle mani del giudice essi dovranno avere un’altra cosa, più alta: la pietà. La pietà». E a queste parole tutti «con voce sommessa» rispondono (è la conclusione del dramma) «Pietà Pietà»

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